Il mio incubo, perché così lo definirei, è iniziato a 18 anni.
Dopo aver lasciato l’attività agonistica infatti il mio corpo è cambiato notevolmente e sono aumentata di peso.
Insieme ai miei genitori, sono andata da svariati nutrizionisti, ho provato diete di tutti i tipi ma non ero mai soddisfatta.
Ogni volta ascoltavo le indicazioni sul piano alimentare ed apparentemente era tutto così chiaro e semplice da seguire....
Ero militaresca e riuscivo a stare a stecchetto per mesi rinunciando a feste, compleanni e inviti a cena.
Grazie a questa follia riuscivo effettivamente a perdere peso che però, per me, non era mai abbastanza.
Stavo impazzendo, stavo perdendo amicizie e occasioni, perché di questo si trattava: la mia vita era completamente controllata dal cibo. Prima di scegliere qualsiasi cosa valutavo i rischi dell’andare a cena fuori, le calorie ed i chili che avrei potuto mettere. Per esempio evitavo di uscire se il giorno seguente mi sarei dovuta pesare. La routine prima della pesata era la seguente: cena quasi inesistente, a letto presto e la mattina dopo allenamento ancora più intenso e, soprattutto, tanta ansia!
Tanto lo sapevo già, o erano lacrime amare oppure, se il peso mi soddisfaceva, ripartivo con il solito mantra dentro la mia testa: “Zoe mangia ancora meno la prossima settimana così andiamo al massimo!”.
In questo modo andavo avanti per giorni, per mesi, ed i periodi di “regime” erano alternati da periodi in cui mangiavo in eccesso, mi abbuffavo e mi sentivo tremendamente in colpa e disgustata da me stessa.
Per qualche anno ho raggiunto un equilibrio che in realtà era solo apparente perché i pensieri sul cibo e sul corpo erano costanti: mi allenavo 7 giorni su 7 perché sentivo di essere costretta a farlo e mi stremavo, la mia dieta consisteva nel saltare i pasti o mangiare pochissimo quando ero sola (mi fortificava sentire i morsi della fame, lo associavo al dimagrimento) mentre a cena fuori ed in occasioni speciali mangiavo come gli altri, a volte anche di più. Tutti mi vedevano molto attiva, in forma e ricevevo complimenti ma il prezzo che pagavo era alto.
Questo “equilibrio” precario si è interrotto improvvisamente quando ho perso il lavoro, è stato un periodo difficile ed ho avvertito che stavo cadendo a picco, mi sembrava di non essere più nessuno e di non avere più un posto nel mondo. Ho iniziato ad avere delle abbuffate più frequenti, i chili aumentavano mentre la mia autostima diminuiva ed ero sempre più demoralizzata. Lo stare così male mi ha dato la forza ed il coraggio di chiedere aiuto, ho letto da qualche parte che una freccia può muoversi in avanti solo se tirata indietro, e così è stato.
Ho iniziato la psicoterapia nell’ottobre del 2017 e, dopo qualche mese, ho intrapreso un percorso nutrizionale specifico. L’inizio non è stato facile, mi vergognavo a raccontare quello che mi succedeva, pensavo di essere pazza e l’unica al mondo a cui succedevano alcune cose! Può sembrare strano, ma sapere di avere un disturbo alimentare mi ha sollevata, sapevo che avevo un terribile rapporto con il cibo e con il mio corpo ma adesso, finalmente, sapevo che c’era una via di uscita. Era il problema alimentare che mi rendeva prigioniera di una serie di circoli viziosi ai quali, da sola, non sarei riuscita a sottrarmi. La terapeuta mi invitava a fare piccoli esperimenti tutte le settimane che mi costavano fatica, concentrazione e lacrime ma ogni volta raggiungevo un piccolo successo e così, passo dopo passo, quel cambiamento che aspettavo è arrivato. Ad oggi non potrei essere più felice di aver intrapreso quel percorso.
La terapia ma ha insegnato ad amarmi ad accettarmi, mi ha reso più libera ma, più di tutto, mi ha ricordato che il mio valore, quella specie di luce che mi piace immaginare dentro di me, non dipende dal numero che vedo sulla bilancia.